Accoglienza un anno dopo “senza mai arrenderci”: l’incontro con i profughi ucraini accolti dalla Caritas a Faenza

3 Marzo 2023
Categorie: Emergenze, Migrazioni, Pace

E’ arrivato dodici mesi fa su un furgone senza sapere una parola d’italiano, in fuga dall’Ucraina con la propria madre e il fratello più piccolo. Tanta paura e incertezza sul futuro, in un percorso che – passando per migliaia di chilometri – è arrivato fino a Faenza, a Casa Bersana. È trascorso un anno da quei momenti drammatici che sembravano la trama di un film che fino al giorno prima poteva vedere al cinema con gli amici. Oggi Maxim fa la terza media alla scuola Europa. Se dodici mesi fa, dopo i primi giorni alla Bersana di Celle, sapeva solo dire un timido “ciao” e i nomi dei giocatori delle squadre di calcio – in Italia tifa Inter, ma la squadra del cuore è il Real Madrid – ora è sorprendente sentirlo parlare fluentemente italiano, come se fosse da sempre cresciuto in Romagna.

Da Casa Bersana a Santa Chiara, una grande testimonianza di fraternità

Racconta nel dettaglio la sua giornata, l’infortunio che ha avuto al braccio che è in via di guarigione, gli allenamenti con la squadra del Faenza, lo studio su libri di testo in italiano, come tutti gli altri compagni di classe. Se la madre non ricorda un termine preciso, lui è pronto ad aiutarla. Il vescovo monsignor Mario Toso, il direttore della Caritas don Emanuele Casadio e il sindaco Massimo Isola, che per l’anniversario dell’inizio del conflitto hanno incontrato la comunità di Casa Bersana, ascoltano attenti il racconto di Maxim sui dodici mesi trascorsi qui. La mamma porterà, qualche minuto dopo, lui e il fratello dal dentista: abitudini normali per delle persone che hanno vissuto un anno tutt’altro che normale. La sua famiglia, come tante altre in questi mesi, sono state accolte dalla Diocesi e dai volontari Caritas in una grande testimonianza di fraternità.

Il tema del lavoro: “L’età delle donne, la lingua e il non sapere se rimarranno in Italia non aiuta a far trovare loro delle opportunità”

ucraina giochi

In tutto sono state circa 140 i profughi accolti sul territorio diocesano, di cui un centinaio nel faentino. A oggi, il 40% delle persone ospitate è tornata a casa oppure ha trovato una sistemazione. Alcune famiglie, come quella di Maxim, sono ancora a Casa Bersana, che accoglie 19 persone, mentre il monastero di Santa Chiara ne ospita altre 22. Non è stata solo una questione logistica-burocratica: dare una casa, cibo o indumenti. In questo anno vissuto a Faenza si sono costruiti relazioni e legami che hanno fatto sentire davvero “fratelli tutti”. Attività ricreative, momenti conviviali, la scuola, l’affiancamento lavorativo, oltre a un semplice sorriso nel momento del bisogno, hanno fatto la differenza.

Anche se molti di loro hanno trovato un lavoro e una certa autonomia, il problema degli affitti troppo alti a Faenza si fa sentire. Durante l’estate e l’autunno le donne ospitate al monastero Santa Chiara hanno lavorato senza sosta nelle campagne faentine. «La domanda di manodopera era tanta – racconta Roberta, volontaria Caritas – e subito c’è stato un grande passaparola tra i contadini. Così le ragazze sono passate da un campo all’altro a seconda della stagionalità, dalle ciliegie ai kiwi. Maggiori problemi sono sorti dopo novembre, dove c’è sicuramente meno richiesta».

E trovare altri tipi di lavoro non è facile: la scarsa conoscenza della lingua, l’età non più giovane di molte di loro, l’incertezza se rimanere o no a lungo termine in Italia non aiuta. Non ci sono particolari incentivi per la loro assunzione, ma qualche proposta è arrivata. Al momento cinque di loro lavorano presso un incubatoio a Imola. Qui il problema dei mezzi di trasporto è stato risolto grazie a un’altra donna ucraina di Pieve Ponte che ogni giorno viene a prendere le ragazze alle 5 di mattina, perché alle 6 iniziano il turno. Irina, 23 anni, ha trovato lavoro con un contratto di apprendistato in una pizzeria a Faenza. Sul futuro di tutti loro c’è ancora incertezza. Alcuni stanno attenti a ogni minimo spiraglio di speranza che arriva dall’Ucraina per progettare un rientro. Irina e sua madre invece hanno già deciso cosa fare: rimarranno in Italia, della loro città d’origine non rimane più nulla.

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